“Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani”. La frase è attribuita, erroneamente a quanto pare, a Massimo d’Azeglio e l’avrebbe pronunciata dopo l’Unità d’Italia. Si affermava che l’Italia unita aveva risolto un problema politico, ma non le divisioni interne al Paese e i problemi specifici di ogni territorio.
Ancora oggi, la frase indica una soluzione calata dall’alto, seppur positiva e di grande prestigio, che però non risolve le questioni più importanti. Ecco: il Sei Nazioni della Nazionale italiana rappresenta proprio questa condizione. E’ inutile sottolineare come le due vittorie e il pareggio in Francia degli azzurri abbiano avuto una ricaduta positiva sul movimento, sull’immagina, sull’impatto mediatico. L’Italia era in crescita e la crescita è continuata negli ultimi due mesi. E’ stato il migliore Sei Nazioni della storia sotto il punto di vista dei risultati ottenuti, rimane però il rammarico di non aver migliorato la posizione in classifica del 2007 quando l’Italia con due vittorie e il sistema di punteggio dell’epoca, si piazzò al quarto posto.
L’Italia c’è ed è viva. E, lo ribadiamo, non cadiamo nel giochino dei meriti. Quello lo lasciamo agli altri. Possiamo solo dire: grande Italia. L’orgoglio e la soddisfazione di vedere una Nazionale vincente, non ce lo toglie nessuno. E se proprio dobbiamo dare meriti a qualcuno, li diamo in primis ai ragazzi: sono loro quelli che ci mettono l’anima in campo. In secondo luogo all’allenatore, colui che ha avuto il merito di non stravolgere quanto fatto dal suo predecessore e di metterci giusto qualcosa di suo, in attesa di conoscere meglio il gruppo e le potenzialità.
Al momento Gonzalo Quesada appare come colui che, attraverso i risultati, puo’ rivendicare scelte e strategie: vedremo se gli andranno dietro o se lo lasceranno solo a combattere contro i mulini a venti, come accaduto in passato per altri Commissari tecnici. Ma, detto questo, le vittorie azzurre non cancellano con un colpo di spugna i problemi del mondo ovale italiano. Anzi, forse, li amplificano: il divario è troppo netto tra vertice e base.
E non vogliamo essere parchi di complimenti, non vogliamo essere bastian contrari a tutti i costi e facciamo dunque i complimenti al Presidente Innocenti per la scelta di Quesada, fermo restando le nostre convinzioni sul suo ruolo. Ma ora ci vuole qualcosa in più. Perchè per risollevare le sorti della base del movimento, non basta spendere mezzo milione di euro e prendere un nuovo allenatore (ammesso che sia risolutivo). C’è bisogno di un progetto, una visione, un orizzonte temporale. Elementi che, onestamente, mancano. O almeno il presidente e il suo gruppuscolo di collaboratori e tifosi, non sono stati capaci di farli conoscere.
Siamo in attesa di sapere i dati di bilancio. Siamo in attesa di sapere che fine abbia fatto il progetto Sud, siamo in attesa di conoscere le prospettive per il Seven, siamo in attesa di sapere cosa c’è nel futuro del massimo campionato. Bello il Sei Nazioni, belle le vittorie, bello il pareggio in Francia, bella la birra con gli amici, belle le trasferte all’estero. Bello pure Sanremo e gli scavi di Pompei. Ma ora togliamo l’abito della festa e cerchiamo di capire come risolvere i problemi. Perchè i successi azzurri hanno anche la capacità di nascondere le criticità sotto al tappeto, ma prima o poi il tappeto sarà spostato.
Perché, l’Irlanda insegna, se non si lavora costantemente sul movimento per farlo crescere, ti può capitare un buon gruppo di giocatori (ben gestiti da Benetton tutto l’anno) ma poi rischi non avere i ricambi quando sarà il momento. Se ci sono voluti dieci anni per costruire una squadra competitiva, al prossimo giro non lo fai in un minuto, a meno che non si pensi solo di continuare ad alimentare la ‘caccia’ agli oriundi, talvolta senza nemmeno farli passare dal via, con buona pace dei giovani italiani.
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